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Idee > Discussioni > Il dibattito sul disegno intelligente | |||||||||||||
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Negli ultimi mesi dell'anno appena terminato, le riviste italiane di divulgazione scientifica hanno ‘scoperto’ la rinascita del dibattito fra creazionisti e darwinisti. La maggior parte dei non credenti ritiene che l'Italia, data la presenza del Vaticano sul suolo patrio e quella in Parlamento di partiti di ispirazione dichiaratamente cattolica, sia il non plus ultra della sudditanza culturale nei confronti della religione. Non ci spetta nemmeno questo primato. Il mondo anglosassone è sempre un passo avanti a noi... anche nelle sudditanze. Se Quark e Le Scienze hanno dovuto aspettare il 2005 per accorgersi che il darwinismo ha bisogno di ‘paladini’ e che il creazionismo si è ‘evoluto’, un quotidiano come il Times già nel lontano 1997 titolava: Christians and Scientists; New Light for Creationism. Abbiamo decisamente bisogno di dare uno sguardo al passato per renderci conto di come, quando si parla di questi argomenti, sia facile che vecchie ombre vengano scambiate per nuove luci; d'altra parte è innegabile che ci sia stato un importante mutamento nel dibattito sul creazionismo che, spostando il discorso sul problema della natura e della giustificazione delle credenze, pone oggi le sue sfide sul piano dell'epistemologia. Vediamo di che si tratta. L'obbiettivo polemico resta ovviamente il darwinismo che, fin dalla sua nascita, è stato visto come il nemico naturale dell'argomento teleologico secondo cui un'apparente struttura finalistica del mondo naturale implicherebbe l’esistenza di un progetto soggiacente, ergo di un Progettista. L’argomento desunto dal progetto (da qui in poi "argomento del progetto") muove da osservazioni molto generali sul mondo e da premesse largamente accettate dal senso comune: difficile questionare sulla bellezza del cosmo o sul suo funzionamento ordinato! L’idea di un progettista conscio - come spiegazione di questa bellezza e ordine del mondo - si è sviluppata in stretta connessione con la scienza moderna e, sotto l’egida della meccanica newtoniana, l’argomento teleologico ha preso la forma di un’analogia fra i prodotti umani e l’universo come tale. Sembra quasi naturale che nel ricercare un termine di paragone l’attenzione di uno dei più fervidi sostenitori di questo argomento, William Paley, nel suo Natural Theology, sia stata catturata da quel complesso marchingegno, l'orologio, perfezionato da quel John Harrison che, attraversando gli oceani sulle navi inglesi, era stato perfino in grado di risolvere il complicato e annoso problema del calcolo della longitudine. Nel 1779, prima della strenua difesa proposta da Paley, venivano pubblicati postumi i Dialoghi sulla religione naturale di David Hume. La formulazione classica dell'argomento teleologico, sostenuta nei Dialoghi da Cleante, veniva confutata da Filone, le cui obiezioni colpivano ora la validità della forma argomentativa dell’analogia ora la natura stessa degli oggetti paragonati; Hume minava, gravemente per alcuni, irreparabilmente per altri, la validità dell’argomento teleologico. Un’altra data ferale per l’argomento del progetto è il 1859, anno in cui Charles Darwin diede alla stampe L’origine delle specie. Fino ad allora le scienze naturali si erano dedicate a un meticoloso lavoro di catalogazione che raggiunse il suo apice con la monumentale opera di Carl von Linné. Darwin sconvolse questo quadro teorico, analizzando da prima la variabilità degli individui di una stessa specie, e mostrando poi, attraverso una lunga serie di passaggi, come dall’adattabilità delle variazioni all’ambiente si generi la speciazione. La portata rivoluzionaria di queste teorie è ovvia: l’adattività delle creature al loro ambiente, pilastro dell’argomento teleologico, è più facilmente comprensibile nei termini di un’esplorazione su base casuale delle possibilità (combinata con un meccanismo di selezione che assicura l’eliminazione di ogni caratteristica emergente che non abbia valore per la sopravvivenza) di quanto non lo sia in termini di creazione. Darwin cercò di mitigare le sue conclusioni magnificando un Dio creatore di una o poche forme originarie da cui, attraverso il processo evolutivo, tutte le altre si sarebbero sviluppate. Ma il Genesi era diventato una metafora e Darwin colpiva l’argomento teleologico con tanta decisione da affermare che «è così facile nascondere la nostra ignoranza sotto espressioni quali il ‘piano della creazione’, l’ ‘unità di disegno’, ecc., e pensare di aver dato una spiegazione, quando invece non si fa che ripetere un fatto.» Il dibattito contemporaneo sull’argomento del progetto deve quindi fare i conti con le critiche di Hume e di Darwin. Il primo a raccogliere la sfida in ambito analitico — anche se questo non gli viene unanimemente riconosciuto — è stato Alvin Plantinga nel 1967 con la pubblicazione di God and Other Minds. In questo libro, egli presenta una critica a Hume che, a differenza dell’argomento che proporrà ventitré anni dopo, non è particolarmente incisiva, né la sua struttura particolarmente innovativa, ma che è riuscita a riaccendere un dibattito che ormai si considerava definitivamente spento. Solo un anno dopo, infatti, si faceva sentire quella che, comunemente, viene ritenuta la prima — e più autorevole — voce di questo rinnovato dibattito: Richard Swinburne pubblicava un articolo dal titolo, certamente esplicativo, The Argument from Design. In questa sede tentava di riformulare la posizione espressa da Cleante basandosi su due tipi di regolarità sempre presenti, separatamente o congiuntamente, in natura: le regolarità di compresenza, ovvero modelli di ordine spaziale riscontrabili in un determinato momento, e le regolarità di successione, modelli di comportamento seguendo i quali gli oggetti agiranno in accordo con le leggi della natura. In quest’ottica, gli impressionanti esempi di ordine riscontrabili nel cosmo sarebbero il risultato della compresenza di entrambi i tipi di regolarità. Swinburne conferisce una portata in qualche modo innovativa a questo tipo di analisi, dato che le regolarità di successione non avevano rivestito un ruolo particolare nel dibattito settecentesco sull’argomento teleologico. La riflessione di Swinburne su questo tema non si limita a questo articolo e trova il suo completamento nel 1979 con la pubblicazione di The Existence of God, salutato dalla quasi totalità degli studiosi impegnati in questo campo come la miglior possibile risposta a Hume, ma, ad esempio, aspramente criticato — e anche con una certa facilità — dallo studioso di Hume J.LMackie, la prima e più autorevole voce della cosiddetta ateologia a levarsi in quegli anni. In The Miracle of Theism, Mackie utilizza contro Swinburne gli strumenti concettuali che Filone aveva usato contro Cleante, e gli esiti non possono che ricordare molto da vicino quelli dei Dialoghi humeani. Le critiche all’argomento del progetto basate sulle teorie di Darwin e sugli sviluppi della genetica muovono da una concezione del mondo in cui le osservazioni di dati empirici non hanno connotazioni di carattere morale: il fatto che vi sia un ordine naturale non implica che esso sia sorretto o guidato da un Dio giusto, né è necessario che la struttura dei processi naturali sia orientata verso un fine, o verso un bene, che esuli dalla costituzione dell’ordine naturale stesso. Queste posizioni non nascono in risposta a quelle forme di argomento teleologico basate sull'analogia, ma si contrappongono agli argomenti che sostengono l’esistenza di Dio per «inferenza dalla migliore spiegazione» dei dati forniti dall'esperienza. Per questa via, i sostenitori dell'argomento teleologico affermano che l’ipotesi teista di un creatore intelligente spiega i dati in nostro possesso meglio di quanto non possa fare una teoria naturalistica in cui le caratteristiche dell’universo sono dovute a forze naturali cieche. D'altro canto, per i critici dell'argomento del progetto, la migliore spiegazione per ogni «ordine» che riscontriamo nella natura è data dalle sue stesse leggi. Come ha sostenuto Richard Dawkins, se quel che deve essere spiegato è la complessa struttura del mondo naturale, la spiegazione è nella natura stessa. Ma allora, se quella di Darwin è di fatto la migliore spiegazione, perchè c'è chi continua ad osteggiarla? La risposta di Dawkins fa appello al normale bisogno dell’uomo di dare una spiegazione all’apparente struttura finalistica del cosmo. Se è vero che Darwin e la genetica spiegano come il mondo è arrivato ad avere l’aspetto che conosciamo attraverso meccanismi di selezione e speciazione (che si protraggono, e che hanno come unico scopo la sopravvivenza delle specie e il tramandarsi di un codice genetico), è anche vero che in questa spiegazione si perde quella dimensione di grande schema ordinato da una Entità benevola che sembra dare senso al mondo e alle vicende della vita umana. Quello che quindi Dawkins cerca di sottolineare è come, nelle riflessioni filosofiche sulla scienza, si debba sempre distinguere tra la Vita, intesa come esistenza del cosmo con tutto ciò che lo costituisce, e la vita, intesa come vicenda di un singolo individuo; e mentre la spiegazione della prima è compito dell'indagine scientifica, la comprensione della seconda cade in una dimensione personale in cui possono trovare un ruolo anche i sentimenti religiosi. La teoria evoluzionistica si rivela quindi uno strumento potente che può essere efficacemente usato contro quelle formulazioni dell’argomento teleologico che, nonostante le varianti, ne mantengono pressoché intatta la struttura tradizionale. L’appello all’ordine del mondo o alla varietà delle specie rischia di portare chi lo propone a subire critiche sferzanti e talvolta quasi umilianti, ma senza ombra di dubbio saldamente fondate scientificamente. Basti pensare alle parole, poche e durissime, che Daniel Dennett rivolge ai sostenitori dell’argomento del progetto in L’idea pericolosa di Darwin: «Il Dio gentile che con amore ha dato forma a ciascuno di noi (tutte le creature, grandi e piccole) e ha cosparso il cielo di stelle brillanti per il nostro diletto, quel Dio è, come Babbo Natale, un mito dell’infanzia in cui un adulto sano di mente e disilluso non potrebbe credere alla lettera. Quel Dio deve essere trasformato nel simbolo di qualcosa di meno concreto, oppure abbandonato completamente.» Se quindi allo stato attuale non sembra più proponibile un argomento teleologico classico, bisogna forse trovare altre vie e il nostro ‘pathfinder’ , qui, è ancora una volta Alvin Plantinga. Il ruolo di Plantinga in questo dibattito assume contorni particolari, e sicuramente non convenzionali, a partire dalla seconda fase del suo pensiero, dal momento in cui, soprattutto sulla base dei suoi contributi, si affaccia sulla scena filosofica la cosiddetta "epistemologia riformata", una corrente di pensiero che si propone di difendere la razionalità della credenza religiosa operando un ripensamento complessivo della teoria della conoscenza sulla base di istanze postkhuniane e di approdi di tipo affidabilista (per cui una credenza giustificata è quella che scaturisce da processi orientati alla produzione di credenze vere). Centrale nell’opera di Plantinga è il concetto di garanzia (warrant), ampiamente analizzato in una trilogia dedicata all'argomento. In particolare in Warrant and Proper Function — sicuramente uno dei contributi più cospicui di questo filosofo al dibattito contemporaneo sulla teoria della conoscenza — Plantinga definisce il concetto di garanzia e afferma che è proprio l’esser garantita che distingue la conoscenza da una mera credenza vera. Anche se formalmente egli separa l’argomento teleologico dall’argomento del funzionamento appropriato, in Warrant and Proper Function ci troviamo di fronte a una forma totalmente nuova di argomento del progetto. Dio non viene più invocato come progettista di un cosmo in cui l’uomo riscontra le mirabili corrispondenze che tanto impressionavano Paley, ma diventa progettista - e quindi garante - delle capacità cognitive dell’uomo e questo suo ruolo si inquadra in un progetto epistemologico più vasto, in cui questa Entità diviene una delle condizioni necessarie della conoscenza. Secondo le linee centrali e paradigmatiche della nozione di garanzia proposta da Plantinga, una credenza C ha garanzia se e solo se:
Condizioni fondamentali per la garanzia sono il funzionamento appropriato del bagaglio noetico del soggetto conoscente e il progetto che ne regola l’attività cognitiva. Plantinga si chiede se la concezione di garanzia da lui tracciata costituisca un tipo di epistemologia naturalizzata. Questo voler a tutti i costi vestire i panni del naturalista, o farli vestire ai propri interlocutori, rischia decisamente di confondere i contorni del panorama epistemologico e Plantinga non fa eccezione. Egli stesso sostiene che la sua descrizione della garanzia «incontra le condizioni per essere una descrizione naturalistica» e questo ha fatto sì che vari autori si siano preoccupati di indagare se e quanto questa epistemologia sia naturalistica. Ma questo tentativo ha fatto passare in secondo piano quello che per l’autore è il problema centrale. I filosofi analitici della religione, e quindi anche Plantinga, pur rifacendosi in vari gradi al naturalismo metodologico, sembrano rifiutare il naturalismo tout court. A questo rifiuto, in ambito religioso, si accompagna il rifiuto del darwinismo, nella misura in cui sembra porre seriamente in discussione il ruolo di un progettista conscio come il Dio cristiano. La contrapposizione è quindi tra un disegno provvidenziale ideato e guidato da un essere perfetto e un meccanismo casuale e «cieco» come quello proposto da Darwin. Plantinga afferma che in realtà il modo più plausibile per pensare alla garanzia da un punto di vista teistico è in termini di epistemologia naturalistica, perché «il naturalismo in epistemologia fiorisce meglio in un contesto di supernaturalismo metafisico» e dichiara di seguire Quine, anche se «solo a una certa distanza». Tuttavia, le nozioni di funzionamento appropriato e progetto, abbastanza chiare se applicate ad artefatti, non lo sono altrettanto se applicate a organismi naturali e a loro parti. Ma, come Plantinga fa prontamente notare, gran parte del genere umano ha applicato queste nozioni agli organismi naturali senza confusione o incoerenza, pensando a essi e alle loro parti come progettati. Dal punto di vista teistico c’è un progettista conscio e intenzionale, che ha concepito gli organismi e quindi anche gli esseri umani: Dio. Affermare che qualche credenza può essere garantita, nella proposta epistemologica di Plantinga, implica il teismo. Per avvalorare queste affermazioni, contrappone una posizione che imputa a Darwin e a Churchland e una riferibile a Popper e Quine. Darwin e Churchland sosterrebbero che l’evoluzione naturalistica ci fornisce una ragione per dubitare che le facoltà cognitive umane producano, in genere, credenze vere; chiama questa posizione "il dubbio di Darwin". Dall'altra parte, Popper sosterrebbe che, visto che ci siamo evoluti e siamo sopravvissuti, possiamo essere sicuri che le nostre ipotesi e congetture sul mondo siano per la maggior parte corrette, mentre Quine troverebbe più incoraggiamento in Darwin di quanto non ne trovi Darwin stesso. Plantinga propone di vedere il problema come legato al valore di una certa probabilità condizionale: P(R/(N&E;&C;)) dove N è il naturalismo metafisico, cruciale per il naturalismo metafisico è che non esiste un ente come il Dio del teismo tradizionale; E è la teoria secondo cui le facoltà cognitive umane sorgono dai meccanismi studiati dal pensiero evoluzionistico contemporaneo; C è una proposizione complessa — la cui precisa formulazione, secondo Plantinga, è difficile e non indispensabile — che stabilisce quali facoltà cognitive abbiamo e che tipo di credenze producono; R è l’affermazione che le nostre facoltà cognitive sono affidabili, nel senso che, nell’ambiente per loro normale, producono per la maggior parte credenze vere. Plantinga vuole stabilire qual è la probabilità di R/(N&E;&C;), e cioè qual è la probabilità che una credenza prodotta dalle facoltà cognitive umane sia vera, dato (N&E;&C;). Costruita la disputa in questo modo, dal punto di vista di Darwin e Churchland, questa probabilità sarebbe relativamente bassa, mentre Popper e Quine la riterrebbero abbastanza alta. Qual è la posizione del teista di fronte a questi dubbi e al valore di questa probabilità condizionale? Il teista tradizionale non ha ragione di mettere in dubbio il fatto che il suo sistema cognitivo produca credenze vere, né di supporre che la probabilità di R/(N&E;&C;) sia bassa, perché, se accettasse una forma di evoluzionismo, sarebbe comunque un evoluzionismo diretto da Dio. Da quanto abbiamo detto finora risulta che proporre un argomento teleologico che mantenga una struttura tradizionale e pretenda di mettere in questione la teoria evoluzionistica sembra attualmente una impresa disperata. Come fa impietosamente e giustamente notare Dennett le dispute che ne derivano richiamano alla mente quelle che coinvolsero i sostenitori delle teorie eliocentriche. Paley poteva fare appello alla sorprendente analogia tra un uomo creatore di macchine e un Dio creatore del mondo; lo stesso tipo di questioni, se poste da Swinburne, sembrano avere poco senso. Plantinga mostra di comprendere che andare contro le scienze nel nome della fede porta alla bancarotta epistemologica; cambia quindi strategia e sposta il discorso sul terreno epistemologico, mettendo in discussione la validità del paradigma naturalistico imperante nella filosofia analitica degli ultimi anni. In Naturalism Defeated, per esempio, Plantinga propone quello che definisce un «argomento evoluzionista contro il naturalismo», secondo il quale l’unione di naturalismo e evoluzionismo genera una «incoerenza autoreferenziale», totalmente evitabile nell’unione di evoluzionismo e teismo. Questi ultimi sviluppi del pensiero di Plantinga non sono di agevole interpretazione. In Italia Paola Dessì ha definito Plantinga «un creazionista d'assalto», il cui punto di partenza è costituito dall'anti-naturalismo e il cui fine è riproporre «il vecchio argomento del progetto intelligente»; anche se questa interpretazione rende forse esplicite le intenzioni nascoste di Plantinga, rischia di fraintendere la sua posizione e di confondere i contorni della discussione. Bisogna infatti riconoscere che, con la sua filosofia analitica teista fondata su salde basi epistemologiche, Plantinga — diversamente da altri studiosi che pur condividono la sua posizione e i suoi obiettivi — è stato in grado di proporre un argomento teleologico non facilmente attaccabile proprio perché non si rifà al passato e rompe con gli schemi entro i quali era impostato il classico dibattito sul Progettista. Plantinga è insomma un perfetto esempio di ‘teista evoluto’— e non a caso è stato inserito dal Times fra le nuove star del creazionismo — che, come dopo questo breve excursus dovrebbe essere facile comprendere, sono ben più pericolose delle sempre riproposte vecchie ombre di settecentesca memoria. |
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