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Concita De Gregorio (giornalista, scrittrice e direttore de l’Unità) & Nicla Vassallo (http://www.niclavassallo.net/) professore ordinario di Filosofia Teoretica), per Rescogitans Fino a pochi anni orsono, non si faceva che dichiararsi multiculturalisti, in nome del rispetto delle tradizioni altrui, accettando implicitamente pratiche aberranti, l’infibulazione per esempio, a torto identificata quale usanza musulmana. Da quando, invece, l’adozione di istanze multiculturaliste non viene più data per scontata, c’è chi correttamente rileva il contrasto tra femminismi e multiculturalismi, dato che, mentre i primi dovrebbero (almeno sulla carta) contrastare ogni tradizionalismo, i secondi ne dovrebbero essere rispettosi. A ogni buon conto, i multiculturalismi sollevano parecchi problemi: da una parte paiono incapaci di garantire rispetto della dignità e della giustizia sociale agli individui vulnerabili di alcuni gruppi «stranieri», in particolare alle donne di tali gruppi, perfino nelle stesse democrazie occidentali, dall’altra le loro tesi rimangono da chiarire: sposare i multiculturalismi significa accettare ogni forma di pluralismo, relativismo, tradizionalismo, e viceversa? Per di più, il problema dei multiculturalismi versus anti-multiculturalismi si incontra/scontra con ciò cui occorre conferire priorità (equità ed eguaglianza di genere, libertà religiosa, secolarismo?), con le tensioni tra cittadinanza e diritti umani-civili, con le preoccupazioni per il revival di un certo potere sessista, con la monopolizzazione dei femminismi (nonché dei maschilismi) da parte dell’Occidente. Questo tuttavia non risulta sufficiente a spiegare perché i gruppi sotto la lente d’ingrandimento risultino spesso e volentieri gruppi di musulmani, non altri, mentre il grattacapo rimane quel pezzo di stoffa che è il velo, piuttosto che i matrimoni combinati, forzati, precoci, temporanei, gli adulteri criminalizzati, la poligamia. Velo musulmano: ci si preoccupa se (mettiamo) un’insegnante porta un velo islamico, non se quell’insegnante è una suora e il suo velo è cattolico. Quasi il velo musulmano avesse addirittura il potere di mettere in discussione la professionalità dell’insegnante stessa. La rivalutazione del femminile (e del maschile) tradizionale, a cui stiamo assistendo in molti luoghi del mondo, procede di pari passo con la rivalutazione di schemi sessisti ed eterosessisti che le donne, come alcuni uomini, hanno a lungo subito. Cosa ci dicono quei corpi muti, discinti, «senza veli» delle nostre donne telegeniche e televisive, se non che il diritto di ogni singola donna può venire sistematicamente calpestato, se non che le prostituzioni si continuano ad arricchire di nuove imprevedibili sfaccettature, non sempre percettibili? Sofferenze dell’animo e sofferenze del corpo. Le due si trovano spesso intrecciate, nonostante ci sia il corpo in vetrina: abusato, disonorato, martoriato. Oltre ai veli e ai «senza veli», a ossessionare rimane una certa sessualità che non si esita ad aggiogare con metodi spietati. Da secoli immemori. Ce lo ricorda l’infibulazione, cui abbiamo appena accennato… Primitive le società (africane, arabe, asiatiche, di religione politeista, islamica, cristiana) in cui è presente la pratica? Indulgenti con noi stessi omettiamo che l’infibulazione risale alle nostre «radici identitarie» fino ad accostarsi ai nostri tempi: le schiave la subivano nell’antichità greca e romana, nel Medioevo è stata rimpiazzata dalla cintura di castità, l’impiego ottocentesco in Europa e negli Stati Uniti era volto a impedire la masturbazione femminile, nonché a curare, oltre a epilessia e isteria, «disturbi» quali la ninfomania e «deviazioni» quali i lesbismi. Ci servono argomentazioni belle, prive di retorica, senza ipocrisie e slealtà (che argomentazioni sarebbero altrimenti?), con premesse e conclusioni, che devono rinunciare a pretesti impacchettati in cui si deplora la virtuale varietà dei comportamenti e costumi femminili, che devono fare sì che questi ultimi non vengano martirizzati, negati, normativizzati. Oppure usati per opporre il mercantilismo occidentale (perbene o prepotente che sia) alla sobrietà musulmana (perbene o prepotente che sia) – ma non è forse il nostro buon mercantilismo a condurci alle crociate e a permanere tutt’oggi capace di scatenare in alcuni di noi un’esacerbata islamofobia? Insomma, di fobie – se si preferisce di gabbie, come quelle su cui ci apre gli occhi Edward Said, in relazione alla contrapposizione Occidente/Oriente – pur sempre si tratta. Anche nel caso in cui sia la sola pratica del velo a venire connessa al problema del «vestirsi appropriatamente», problema senz’altro parallelo a quello dello «svestirsi appropriatamente». Problema non circoscritto al velo. Problema di ognuno di noi, in ogni luogo del mondo, personale, privato, pubblico, al di là del sesso/genere d’appartenenza, perfino nel giudicare quanto un modo di abbigliarsi sia tradizionale, moderno, contemporaneo, postmoderno. Benché la lotta tra tradizione e modernità non risulti centrale per Marnia Lazreg, il problema in questione rimane... Forse, in relazione al codice d’abbigliamento, ad accomunare le donne musulmane (non quelle italiane) potrebbe infine rimanere proprio la prescrizione religiosa di vestirsi con modestia in pubblico, per venire riconosciute quali donne dignitose: come se alla modestia dell’abbigliamento corrispondesse ineluttabilmente una modestia etica, come se l’etica dovesse comportare la modestia, come se il significato di «modestia» risultasse lampante, come se le motivazioni etiche si rendessero sempre imprescindibili. Rimane l’illusione o il pretesto (brava Marnia Lazreg a evidenziarlo) di riuscire a evitare gli abusi sessuali, abusi le cui relazioni con modestia e velo non risultano affatto trasparenti, di rappresentare il simbolo della famiglia, la cui dignità si trova spesso delegata al comportamento delle donne – ma questo pure in Occidente, e difatti il delitto d’onore è stato accettato in Italia fino a poco fa. Non si tratta sempre di modestia. Si può essere compiaciute della propria fede islamica e mostrarla attraverso il velo, proprio come chi si compiace della propria fede cristiana indossa il crocefisso quale monile. Si può considerare il velo un modo di abbellirsi; lo stesso vale, più o meno, per chi si veste «bene» prima di uscire di casa. Si può portare il velo quale simbolo di nazionalismo, al pari di altri simboli: la svastica per i nazisti – del resto, a esprimersi attraverso simboli di questo tipo non sono solo i vari nazionalismi, bensì tante ideologie per rendersi visibili e identificabili. Oppure sono le stesse donne, non tanto i veli, a venire trattate da simboli. Costrette in passato a svelarsi da diversi poteri colonialisti, col proposito di occidentalizzare le società musulmane, sostituendo i normativi codici islamici d’abbigliamento con quelli europei, altrettanto normativi. Ammesso, ma non concesso, che il velo indichi una sottomissione, non si situa una contraddizione nel forzare le donne alla libertà, svelandole? A forzarle non è stata la sola mano dei colonialisti. Come Marnia Lazreg puntualmente ci narra, intellettuali, liberali, riformisti mediorientali hanno denunciato il velo in quanto emblema dell’esclusione delle donne dalla vita pubblica; in gran parte uomini, questi intellettuali, liberali, riformisti, mentre le donne hanno seguitato a soggiacere ai loro ordini: velati, svelati, rivelati! Svelare le donne per convincersi di essere «evoluti» quanto gli occidentali, per compiacere questi ultimi, cosicché le donne da simbolo della famiglia si sono trasformate in simboli degli stati – del resto, alcuni paesi occidentali non si sono dimostrati da meno. Mustafa Kemal Ataturk in Turchia e Reza Pahlavi in Iran si rivelano campioni esemplari di politiche contro il velo, non sempre vissute dalle donne in senso liberatorio: in Persia, soprattutto, quelle donne, che consideravano sconveniente e/o spaventoso uscire in pubblico prive di velo, hanno accettato di rimanere rinchiuse nelle proprie abitazioni, accentuando il loro isolamento e la loro dipendenza da famiglie e uomini. Col trascorrere del tempo, al fine di riaffermare la propria identità nazionale, oltre che religiosa, i propri valori e stili, in contrasto con quelli occidentali, per sottolineare non la propria inferiorità, bensì la propria superiorità, si è nuovamente imposto il vecchio codice d’abbigliamento del velo, una rassicurazione per alcune donne, una condanna per altre. Parallelamente al suo significato letterale e metaforico, il valore del velo è mutato e muterà: uniforme religiosa, abito tradizionale, indumento della trasformazione, segno di liberazione, sintomo di oppressione. In quest’ultimo senso viene interpretato, per esempio, dal Women’s Action Forum (Waf) che si oppone a ogni tentativo di imporlo alle donne. I femminismi islamici si presentano variegati e non sempre allineati. Poco conosciuti dai più, raramente vengono dati per morti. La loro ascendenza, neanche recente, risale, come appena accennato, a uomini riformisti che hanno tentato di «modernizzare» lo status femminile, con l’intento però di rendere le donne non uniche e libere, bensì migliori quali mogli e madri, grazie a educazione ed emancipazione. Contemporaneamente, alcune donne hanno contestato l’interpretazione maschile del Corano in chiave misogina e la conseguente segregazione sessuale femminile. Attorno agli anni della rivoluzione iraniana, che oppone a una monarchia repressiva una repubblica islamica…, i femminismi trovano nuove energie, spalleggiando proprio la legge coranica, opponendosi a influenze e intrusioni occidentali, auspicando maggiori presenze e libertà pubbliche femminili, difendendo il diritto delle donne a essere ascoltate, a esprimersi, sebbene col velo. Associazioni quali l’Awsa United (Arab Women’s Solidarity Association United) connettono la liberazione dei musulmani dal dominio occidentale alla liberazione delle donne arabe, promuovendo la presenza attiva di queste nella vita culturale, economica, sociale, politica. Mentre lo Wluml (Women Living Under Muslim Laws), network di solidarietà internazionale, tenta di fornire informazioni e supporto per garantire una maggiore visibilità e spazi collettivi a quelle esistenze femminili formatesi e condizionate da applicazioni misogine della legge coranica e dei costumi islamici. Alcuni femminismi occidentali vengono invece dati per morti, mentre molte donne (velate o non) continuano a subire diversi tipi di prevaricazione: dalla subordinazione sessuale a quella biologica (si pensi alla diversa valutazione delle rughe su un volto maschile e su un volto femminile), dalla marginalizzazione quali oggetti di conoscenza (le varie scienze studiano poco le donne) e quali soggetti di conoscenza (basti ricordare i tanti premi nobel «rubati» alle donne e assegnati agli uomini) alle violenze verbali e fisiche. Sebbene si diano donne brutali (ricordiamo le kapò), la violenza si declina per lo più al maschile, come attestano statistiche in base alle quali l’85% dei crimini violenti risulta commesso da individui di sesso maschile. Quando esercitata sulle donne (che siano col velo o senza) questa violenza viene purtroppo minimizzata e raramente denunciata. Portare il velo in pubblico per evitare la violenza maschile? Insensato, almeno se si considerano i dati ufficiali italiani: gli stupri riguardano più di mezzo milione di donne, si compiono in gran parte all’interno delle mura domestiche, per mano di mariti, ex mariti, amici, fidanzati. A nulla servirebbe velare le donne italiane, certo non a proteggerle dagli abusi sessuali in pubblico: dovrebbero piuttosto portare il velo entro le mura domestiche, sempre che esso riesca a prevenire le violenze. Questo pezzo è trattato da “La velata”, corposo saggio introduttivo di Concita De Gregorio & Nicla Vassallo, per il volume, da poco in libreria, della sociologa algerino-newyorkese Marnia Lazreg, Sul velo. Lettere aperte alle donne musulmane, il Saggiatore, Milano (http://saggiatore.it/blog/2011/03/03/sul-velo-lettere-aperte-alle-donne-musulmane/). A onor di cronaca, è bene ricordare che Concita De Gregorio e Nicla Vassallo hanno terminato di scrivere “La velata” nell’agosto del 2010. -- |
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